Ripensare il network distributivo: quale modello scegliere nell’Internet era?

Gli effetti dirompenti che il commercio elettronico (e-commerce e mobile-commerce) ha provocato nell’organizzazione della rete distributiva sono sotto agli occhi di tutti, poiché nessun settore merceologico è rimasto immune dalla rivoluzione del “mercato digitale”.

Non c’è mercato che non abbia sperimentato le opportunità di crescita dell’internet economy e che, allo stesso tempo, non abbia affrontato le molteplici minacce che gravano sia sul business medesimo (ad es., atti di concorrenza sleale, truffe, ecc.) che sulla reputazione aziendale e alla brand image (presenza di prodotti contraffatti, clonazione di siti web, registrazione abusiva di marchi ed altri segni distintivi).

Ci sarà quindi un totale superamento dei modelli distributivi che fino ad oggi hanno retto l’operatività di ciascuna impresa?

A ben vedere, come spesso approfondiamo con i nostri Clienti, le nuove sfide del mercato globale (e digitale) impongono una riformulazione di tali modelli, piuttosto che una loro dismissione.

Cogliamo quindi l’occasione per riportare molto brevemente quali sono le più rilevanti e ricorrenti tipologie di modelli di distribuzione che l’impresa internazionalizzata (o che si appresta ad esserlo) deve valutare per espandere il proprio business all’estero.

A prescindere dalle scelte e strategie commerciali e di marketing i diversi rapporti distributivi si distinguono secondo due principali parametri: a) il grado di collaborazione dell’impresa con soggetti terzi ovvero, b) il livello di controllo che il produttore può esercitare sugli “anelli” successivi della catena.

In questo senso abbiamo i rapporti di agenzia, di distribuzione (esclusiva e selettiva) il franchising, i negozi “monomarca” oppure gli “outlet”.

Nel rapporto di agenzia, l’agente promuove le vendite nel territorio assegnato.

Dunque, il rapporto dell’azienda produttrice con i propri clienti (retailer o grossisti) è diretto e costante; tuttavia questo comporta una struttura interna in grado di gestire una significativa quantità di rapporti con operatori stranieri.

Al contrario nei rapporti (atipici) di distribuzione (c.d. esclusiva), è l’operatore straniero, in veste di acquirente-rivenditore, a curare la commercializzazione del prodotto dell’Azienda in un dato territorio assegnato in esclusiva.

Diversamente, nei rapporti di distribuzione selettiva è la stessa Azienda produttrice a selezionare ogni operatore della catena distributiva (dai grossisti ai punti vendita) secondo parametri e requisiti oggettivi di tipo qualitativo. Peculiare, dunque, è la stretta e pervasiva sorveglianza da parte dell’Azienda produttrice circa le modalità di commercializzazione dei prodotti.

Una forma ancora più integrata di partnership è rappresentata dal franchising (ossia “affiliazione commerciale” e le cui norme, in Italia, sono contenute nella Legge 129/2004). Con essa, l’Azienda produttrice (o franchisor) concede ad un altro operatore (franchisee) lo sfruttamento di un insieme di diritti di proprietà industriale ed intellettuale relativi a marchi, denominazioni commerciali, insegne, diritti d’autore, know-how, finalizzato all’apertura di un punto vendita. Solitamente in tale rapporto il pagamento di un corrispettivo è determinato in royalties.

Le attività del franchisee sono rigidamente determinate dal franchisor; tuttavia, proprio in ragione di tale rigidità, molta attenzione deve essere posta nella regolamentazione del rapporto, al fine di non incorrere in violazioni del diritto della concorrenza e/o in comportamenti sleali/abusivi quali reazioni degli stessi franchisee.

Infine, la gestione diretta di punti vendita prescinde da un rapporto collaborativo con un altro operatore.

Così l’apertura di negozi monomarca permette di controllare direttamente l’immagine del negozio e costituisce un “canale fidato”, che rende accessibile al consumatore il prodotto a prezzi (di fatto) controllati.

Una soluzione con finalità simili, ma tuttavia di carattere temporaneo, è svolta dal rapporto di corner agreements, a mezzo del quale vengono riservati ai prodotti aziendali specifici spazi espositivi e/o di vendita nei locali di centri commerciali e duty-free (ad esempio negli aeroporti).

Con l’apertura di un outlet, infine, potrà essere più efficacemente gestito il magazzino (rimanenze) e la politica dei resi.

Appare quindi evidente che nell’attuale panorama globale, in continua evoluzione, i diversi rapporti esaminati non rappresentino più – presi singolarmente – la soluzione alle problematiche che quotidianamente l’Azienda deve affrontare, ma di certo, non sono ancora prescindibili.

Non a caso le best practices portate avanti dalle più importanti aziende mondiali, puntano ad una strategia fondata su di un “mix” di questi fattori, chiamata multicanalità.

E’ dunque facile intuire come il successo di una Azienda rispetto ai propri competitors (nazionali e stranieri) sia sempre più decretata dalla strategie di distribuzione attuata, che consente di raggiungere il target di distribuzione desiderata. Tale fondamentale valutazione, dunque, dovrà avvenire necessariamente in fase di pianificazione (e quindi strategica) sulla base dei business plan e delle prospettive della propria realtà commerciale.

Non si potrà prescindere, inoltre, da una valutazione “a tutto tondo” che le problematiche della distribuzione aziendale presentano all’Azienda: dall’impatto dell’internet economy alla tutela della proprietà intellettuale ed industriale e assets immateriali, così da poter pianificare il tutto ed apportare gli opportuni accorgimenti e scongiurare le minacce sottese.

 

Contributo inserito nella Newsletter n.4/2017.
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