BREXIT: accordo raggiunto! Cosa cambia per l’azienda italiana che esporta in UK

Alla Vigilia di Natale, il 24 Dicembre 2020, si è concluso l’Accordo tra Regno Unito e UE, scongiurando così l’eventualità di una “No Deal Brexit” che sembrava l’esito più probabile di quasi un anno di negoziati, caratterizzati da deadlines disattese e posticipate. Il nuovo accordo sugli scambi e la cooperazione tra l’UE e il Regno Unito, che non fa più parte dell’Unione Europea dal 1 gennaio 2021, dovrà essere approvato dal Parlamento inglese e dal Parlamento europeo tuttavia, nel mentre, i rappresentanti dei Governi dell’UE hanno optato per l’applicazione temporanea dello stesso fino al 28 febbraio 2021.

L’agreement in principle si basa su quattro pilastri, quali: un accordo di libero scambio, il cui obiettivo è mantenere una stabile collaborazione e cooperazione tra UK e UE, l’istituzione di un partenariato economico e sociale in materia di pesca, trasporti, energia, clima, ricerca, una partnership volta a garantire la sicurezza dei cittadini (in ambito privacy, protezione dei diritti fondamentali e lotta contro la criminalità organizzata) e infine la previsione di un Consiglio di partenariato incaricato di sovraintendere alla corretta applicazione e interpretazione delle nuove disposizioni e di trovare soluzione alle possibili future controversie derivanti dalla nuova disciplina.

Cosa cambia per l’azienda UE che intende esportare nel Regno Unito o importare in Europa?

A partire dal 1° gennaio scorso, il Regno Unito è uscito dal Mercato Unico (anche digitale) e dunque, diventato Paese Terzo/Extra-UE a tutti gli effetti, viene meno la libera circolazione di persone, merci, servizi e capitali. È uscito pure dall’Unione Doganale, per cui le parti – rispettivamente esportatore e importatore – dovranno attentamente verificare e puntualmente rispettare sia le norme comunitarie che quelle introdotte in UK.

Dal 1° gennaio us, dunque, tutti gli scambi commerciali tra l’UE e il Regno Unito saranno assoggettati alle norme doganali (pagamento di tariffe, espletamento di procedure doganali, verifica di conformità normative e possibili standard tecnici e omologativi, ecc.).

Senza contare che cambieranno le norme in materia di pagamento e rimborso dell’imposta sul valore aggiunto e andranno totalmente riviste le autorizzazioni alle immissioni in commercio rilasciate dalle autorità del Regno Unito, nonché la marcatura o l’etichettatura delle merci effettuata da organismi stabiliti nel Regno Unito.

In materia doganale

L’Accordo prevede l’assenza di dazi e contingenti per le merci oggetto di scambi commerciali tra UK e Paesi dell’UE, al fine di garantire la leale e libera concorrenza (Level playing field). Per beneficiare di questo trattamento le aziende dovranno dimostrare che i prodotti che intendono esportare rispettano in toto la normativa in materia di origine delle merci, prevista dall’Accordo stesso. L’esportatore dovrà auto-dichiarare l’origine delle merci (allegati Annex Origin), fornendo informazioni dettagliate sull’origine (e anche sulla lavorazione) del prodotto, in modo tale da consentirne l’identificazione; l’autodichiarazione ha validità di 12 mesi dalla data di rilascio e può essere resa in ogni lingua dell’UE. Qualora l’esportatore riesca a munirsi anche della dichiarazione da parte del fornitore, potrà rendere preferenziale il documento.

Resta l’obbligo di adempiere alle formalità doganali, ed infatti ogni cessione di prodotti dall’Italia al Regno Unito rappresenta, oggi, un’operazione di esportazione verso Paese Terzo/Extra-UE, assoggettabile pertanto all’art. 8 del DPR n. 633/72. L’esportatore dovrà trasmettere all’ufficio doganale apposito, una dichiarazione di esportazione e, un volta accettato l’atto, l’ufficio procederà all’assegnazione di un codice di riferimento (M.R.N. – Movement Reference Number) e del Documento di Accompagnamento di Esportazione (D.A.E.), da presentare in uscita.

L’azienda che esporta verso il Regno Unito dovrà munirsi di un codice EORI (Economic operator registration and identification); si tratta di una sigla con fine puramente doganale, istituita allo scopo di identificare gli operatori economici e di rendere più semplice lo scambio di comunicazioni tra le autorità delle dogane di Paesi diversi.

L’esportatore dovrà inoltre essere registrato al sistema REX (sistema degli esportatori registrati) e, sul punto, l’agenzia Dogane e Monopoli ha chiarito che gli esportatori già registrati al sistema unionale REX devono utilizzare il relativo identificativo per esportare in UK merci preferenziali UE, in questo modo evitando l’applicazione dei dazi a destinazione.

Infine, l’unica facilitazione doganale interessa alcuni prodotti di reciproco interesse, quali ad esempio il vino, i prodotti farmaceutici e chimici, rappresentata dal mutuo riconoscimento della qualifica di AEO, Esportatore Autorizzato.

Quali sono gli impatti sui contratti internazionali dopo la Brexit?

Le possibili implicazioni sui contratti esistenti le avevamo da tempo ipotizzate in attesa tuttavia delle definizioni dell’Accordo finale.

Operativamente, oggi è necessario procedere con l’analisi attenta di tutti i rapporti commerciali e i contratti in essere, di durata, con l’obiettivo di intercettare gli elementi di criticità presenti e conseguentemente introdurre quei correttivi che garantiscono il bilanciamento delle obbligazioni contrattuali ed offrono una maggiore certezza dei diritti delle parti.

Innanzitutto le clausole contrattuali dovranno tenere in considerazione i) le nuove tariffe doganali e dunque l’adeguamento (aumento!) del prezzo del bene, ii) i necessari controlli che verosimilmente potrebbero impattare sui termini – essenziali o meno – di consegna della merce, iii) la verifica di se, come e quanto i nuovi standard qualitativi possano impattare sulla produzione, etc…

Tutto si riflette e impatta in maniera diretta sull’aumento dei costi, e dunque sul bilancio aziendale. Si rivela urgente, dunque correggere lo squilibrio economico e normativo del contratto, che dovrà riportarsi ad equilibrio.

Ebbene quelle clausole di salvaguardia normalmente trascurate, ma che si rivelano strategiche per rimediare a situazioni impreviste (clausole di Hardship e/o Force Majeure, vale a dire di rimedi previsti per le ipotesi di eccesiva onerosità sopravvenuta della prestazione ovvero di sopravvenuta impossibilità della prestazione) potranno consentire il ricorso alla rinegoziazione del contratto in essere, così da poter modificare, in accordo tra le parti, le obbligazioni contrattuali che presentano elementi di criticità ovvero, nella peggiore delle ipotesi, rimedi di tipo risolutorio senza incorrere in ipotesi di inadempimento.

Ancora, diventa primario soffermarsi sulla clausola di scelta della legge applicabile e del giudice competente in ipotesi di controversia posto che, dal 1° gennaio 2021 gli scenari divergono completamente: non troverà più applicazione – in particolare – la regolamentazione comunitaria che disciplina in maniera uniforme la giurisdizione, il riconoscimento e l’esecuzione delle decisione emesse all’interno dei paesi membri dell’Unione Europea. Verosimilmente sarà applicabile la nuova Convenzione dell’Aja sugli accordi di scelta del foro del 30 giugno 2005, che ha lo scopo di fissare regole uniformi sulla giurisdizione e sul riconoscimento e l’esecuzione di sentenze tra Stati diversi.

Per chi non avesse malauguratamente redatto un contratto, trascurando quell’accorto e avveduto approccio non-contenzioso, indispensabile per i rapporti internazionali, l’utile o la perdita sarà da rintracciare nei termini di reso INCOTERMS prescelti.

Sarà indispensabile verificare su chi gravano i costi di trasporto e gli oneri doganali, senza trascurare l’onere della dichiarazione di esportazione o di importazione che potranno impattare sugli aspetti fiscali (vendita esclusa IVA) o sulle responsabilità.

Accennati sommariamente questi macro temi, dove l’analisi di singoli aspetti può essere fuorviante, è indispensabile analizzare il rapporto nel suo complesso, con approccio olistico, al fine di vagliare caso per caso, e soprattutto strategicamente, la soluzione più vantaggiosa.

Quali impatti sul Diritto della Proprietà Intellettuale e Industriale?

L’Accordo di recesso produce inevitabilmente effetti anche in materia di Diritto della Proprietà Intellettuale e Industriale, come da tempo anticipato.

In relazione ai Marchi e ai Modelli di design europei è opportuno distinguere l’ipotesi in cui la registrazione sussiste al momento del deal dall’ipotesi contraria. Nel primo caso, continuerà ad essere assicurata la tutela dei titoli, mediante la creazione da parte dell’Ufficio Britannico per Marchi e Brevetti di una registrazione inglese (marchio UK) equivalente a quella europea (per ciò che concerne data di deposito, priorità ecc.); nel secondo caso, ossia qualora il titolo in questione non sia stato ancora oggetto di registrazione, non sarà possibile garantirne la tutela ipso iure posto che sarà necessario depositare una nuova domanda di registrazione presso l’Ufficio Britannico entro 9 mesi dal giorno del recesso del Regno Unito dall’Unione Europea.

Per quanto concerne la tutela dei brevetti, come ipotizzato, questa non subirà grandi variazioni, in quanto si fonda principalmente su Trattati internazionali che non presuppongono l’adesione all’Unione Europea. Uguale considerazione non può farsi con riguardo al c.d. Brevetto Unitario – sistema non ancora in vigore – su cui la Brexit inciderà senza dubbio. Il Governo Britannico ha infatti ufficializzato il ritiro della ratifica dell’Accordo TUB (Tribunale Unificato dei Brevetti), dichiarandosi fuori dallo stesso: sarà dunque necessario definire l’avvio del c.d.Brevetto Unitario anche in assenza del Regno Unito.

Alla medesima conclusione dovrà pervenirsi in materia di tutela del know-how. Basti pensare che la maggiore tutela di esso deriva dalla Direttiva 2016/943/UE che non troverà più applicazione nel Regno Unito.

Cosa cambia per la protezione dei dati personali?

La Soft Brexit aprirà profili di rischio per l’azienda italiana che deciderà di contrattare con il Regno Unito, nell’ipotesi in cui la normativa britannica in materia di privacy dovesse discostarsi da quanto disposto dal GDPR – Reg. UE n. 679/2016.

Attualmente, in virtù dell’Accordo Commerciale e di Cooperazione stipulato tra UK e UE, il GDPR – Reg. UE n. 679/2016 continuerà ad applicarsi per un periodo massimo di 6 mesi, ossia fino al 30 giugno 2021. Ciò significa che per il periodo anzidetto, ogni comunicazione di dati personali verso il Regno Unito non sarà considerata un trasferimento di dati verso un Paese Terzo/Extra-UE.

La Commissione Europea e il Governo UK, in questi mesi, continueranno a lavorare su decisioni di adeguatezza che consentono di procedere con il trasferimento dei dati anche in seguito alla data del 30 giugno 2021; qualora non si ottenessero risultati in tal senso, troveranno applicazione le disposizioni del Capo V del GDPR che rinviano ad espresse previsioni di clausole contrattuali, codici di condotta ecc. per il trasferimento di dati da un Paese UE verso un Paese Terzo .

Conclusione

Anche se molti degli effetti potranno osservarsi solo con la prassi, la Soft Brexit ha delineato un nuovo quadro.

Evidente che, a prescindere dai prossimi sviluppi, l’uscita dall’Unione Europea ha definitivamente salutato buona parte della regolamentazione armonizzata e uniforme con pacifica incertezza del diritto applicabile e delle concrete tutele attuabili.

Se non vi ha già provveduto, è essenziale per l’azienda italiana tutelarsi con l’attenta analisi e revisione degli accordi in essere ovvero, qualora non avesse formalizzato il rapporto con un contratto scritto, cristallizzare precise disposizioni contrattuali con il partner o i clienti appartenenti al Regno Unito, ricordando l’appartenenza al sistema giuridico di Common Law, totalmente diverso dal Civil Law cui appartiene l’Italia.

 

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