Pratica commerciale sleale: è sufficiente anche una sola informazione errata al cliente

Come noto alle Aziende che fondano il loro business in rapporti con Clienti-consumatori (rapporti b2c), la tutela che l’ordinamento, sia nazionale che europeo, riconosce a questa speciale categoria di contraenti fa sì che tali rapporti si differenzino sensibilmente dai rapporti conclusi tra professionisti (rapporti b2b).

Uno degli aspetti rilevanti nei rapporti b2c è, per l’appunto, l’elevato grado di tutela riconosciuto al consumatore in quanto “contraente debole” e, dunque, meritevole di essere protetto dai possibili comportamenti dannosi posti in essere dal professionista. Nella pratica, il principale modo di concretizzarsi di questi comportamenti è quello delle pratiche commerciali sleali.

Con riferimento a quest’ultimo caso, la nozione di “pratica commerciale sleale”, ai sensi della Direttiva CE n.29 del 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali delle imprese nei confronti di consumatori nel mercato interno, è stata precisata dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, la quale il 16.04.2015 è giunta a sentenza nella causa C-338/13 (il c.d. caso  UPC Magyaroszàg  Kft).

I fatti vedevano coinvolti una società ungherese, fornitrice di servizi di televisione via cavo, ed un consumatore, abbonato di lunga data. Il consumatore, intenzionato a porre fine al contratto che lo legava all’azienda, chiedeva al servizio clienti di indicare il periodo esatto al quale si riferiva l’ultima fattura ricevuta, relativa all’annualità 2010. In risposta, l’azienda comunicava erroneamente che il periodo di servizio sarebbe scaduto il 10 febbraio 2011, e – non come in effetti è avvenuto – il 10 gennaio 2011. Il cliente comunicava all’azienda la volontà di recedere dal contratto con decorrenza dal 10 febbraio 2011; vedendosi addebitare dall’azienda anche un mese di servizio non richiesto, successivo alla naturale scadenza del rapporto(10 gennaio 2011). Il consumatore, che nel frattempo aveva concluso un contratto con un altro operatore televisivo, agiva in giudizio per contestare la condotta sleale dell’azienda, lamentando il fatto che per un medesimo periodo, il mese di febbraio 2011, aveva dovuto sostenere due diversi costi per un medesimo servizio. Il giudizio percorreva l’intero iter giurisdizionale sino ad arrivare innanzi al supremo giudice nazionale, il quale rinviava in via pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea.

La Corte si pronunciava precisando che la nozione di pratica commerciale sleale può essere integrata anche dalla semplice informazione errata, comunicata dal professionista al consumatore, tale da influenzare sfavorevolmente le scelte commerciali di quest’ultimo.

La Corte non ha accolto alcuna delle difese dell’azienda, alla quale non può giovare nemmeno il fatto di aver indotto in errore il consumatore in modo inconsapevole, oppure il fatto che il consumatore avrebbe potuto ottenere e/o verificare agevolmente la correttezza dell’informazione ricevuta. Non rileva, prosegue la Corte, neppure il fatto che il pregiudizio effettivamente subito dal consumatore sia irrisorio. Il giudice europeo conclude affermando, inoltre, che la nozione di “pratica commerciale sleale” non richiede la ripetizione della condotta nel tempo o verso più consumatori, essendo sufficiente anche solo un caso.

In ordine alle sanzioni, queste sono determinate dalle diverse legislazioni nazionali di recepimento della normativa comunitaria, le quali, nel prevederle, devono attenersi al principio della proporzionalità ed attinenza.

In conclusione, è di estrema importanza per le Aziende prestare la massima attenzione al rapporto con il Cliente-consumatore, in modo da evitare possibili contestazioni di condotte commerciali scorrette, anche a fronte di errori commessi in buona fede, ed incorrere nelle relative sanzioni previste dall’ordinamento.

 

Contributo inserito nella Newsletter n.3/2015.
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