Il commercio on-line costituisce oramai una realtà consolidata che permette di espandere i confini dell’attività commerciale dell’azienda, raggiungendo un numero elevatissimo di potenziali clienti indipendentemente dalla loro collocazione territoriale. Tuttavia, allo stesso tempo, comporta una serie di problematiche dettate proprio dalla “mancanza di confini”, soprattutto in relazione alla clausola di esclusiva territoriale comunemente utilizzata nel rapporto di agenzia o di distributore. Infatti, la predisposizione di piattaforma di e-commerce (dove l’azienda sponsorizza e commercializza i propri prodotti) potrebbe integrare una violazione del diritto di esclusiva, in quanto potenzialmente invasivo della “zona territoriale” dell’agente.
Tale violazione comporterebbe, poi, il sorgere del diritto di recesso in capo all’agente ed il contestuale risarcimento del danno, ovvero, in caso negativo, il riconoscimento del diritto alle provvigioni in relazione alle vendite effettuate nell’area allo stesso assegnata.
Allo stesso tempo, in un’ottica prettamente commerciale, vietare all’azienda di predisporre un proprio sito web, ovvero ipotizzare il divieto di vendita attraverso portali di e-commerce, potrebbe integrare una lesione alla libera concorrenza.
Che fare quindi? In casi simili, secondo un orientamento dottrinale al vaglio della giurisprudenza, occorre distinguere tra le vendite cosiddette “attive” – nelle quali il fornitore pone in essere un’attività promozionale diretta e che pertanto integrerebbe una lesione del diritto di esclusiva – dalle vendite “passive” – nelle quali il fornitore semplicemente evade gli ordini giunti spontaneamente dai clienti, siano essi stabiliti nel territorio coperto da esclusiva o meno. Nel primo caso, in presenza di un contratto di agenzia, l’azienda dovrebbe sottostare alle conseguenze risarcitorie già indicate; al contrario. nel caso di vendita “passiva” non dovrebbe esserci alcuna lesione al diritto di esclusiva, anche se il preponente dovrà comunque corrispondere all’agente le provvigioni.
A tal proposito, in ambito telematico, la Commissione Europea ha dettato delle Guidelines, basate proprio sulla distinzione di cui sopra. A titolo esemplificativo, rientrerebbero tra le vendite “passive” l’attività di predisposizione di un sito internet strutturata con la scelta delle relative lingue da utilizzare, l’inserimento nel sito del distributore di una sezione che rinvia a link di siti internet di altri distributori e/o del fornitore. Entrambe le ipotesi infatti non integrerebbero una sollecitazione all’acquisto del cliente il quale, invece, visiterebbe il sito di sua iniziativa.
Al contrario, costituirebbe vendita “attiva”, e quindi integrante violazione del diritto all’esclusiva, la costituzione di un sito internet con chiaro intento di promozione o di invito a proporre, ad esempio tramite banners o link di providers dedicati, così come l’invio di newsletter o formule promozionali essendo in questo modo evidenti le finalità dirette alla vendita.
Ad ogni buon conto, la soluzione per evitare le potenziali conseguenze negative non può certo essere la previsione di accordi limitativi, come quelli in cui il fornitore si rifiuti di concludere le transazioni via internet con i consumatori finali (utenti) una volta accertato – mediante i dati della loro carta di credito ovvero attraverso la localizzazione dell’indirizzo IP, sempreché questo sia inequivocabilmente individuabile – che il loro indirizzo ricade nella zona di esclusiva dell’agente, o che stabiliscono l’introduzione di un meccanismo che reindirizza automaticamente il cliente al sito del produttore o di altri distributori esclusivi. In tal modo infatti si introdurrebbe una sorta di protezione territoriale assoluta, in aperto contrasto con la tutela della libera concorrenza.
Lo stesso possiamo dire in tema di distribuzione selettiva – che consente al fornitore di scegliere i propri distributori, imponendo loro di non vendere prodotti a soggetti non autorizzati o di vendere a soggetti determinati. Questo sistema è adottato nei mercati relativi di complessi, come quelli che richiedono un’elevata assistenza tecnica, o prodotti di qualità (o di lusso) al fine di evitare fenomeni di free riding tra i distributori o per rafforzare l’immagine di un marchio.
Sul punto, nella sentenza Pierre Fabre, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata sulla legittimità del divieto di vendita via internet, imposto ai membri di un sistema di distribuzione selettiva. La Corte ha statuito che tale divieto costituisce una restrizione illegittima a meno che non vi sia un oggettivo motivo di giustificazione (ad esempio la necessità di fornire una consulenza personalizzata alla clientela ovvero l’esigenza di preservare l’immagine di prestigio, purché si tratti di imprese che possono vantare la titolarità di marchi celebri o la creazione di prodotti dotati di una diffusa notorietà). Al contrario invece, parrebbe possibile per il preponente imporre vincoli ai distributori, come avere più punti vendita o saloni di esposizione “non virtuali”, anche nell’ambito del commercio elettronico, sempre a condizione che tali vincoli siano predeterminati e non discriminatori.
In occasione dell’apertura di un sito internet o di una piattaforma di e-commerce, quindi, l’azienda dovrà valutare caso per caso la tipologia di attività posta in essere tramite il sito internet
Parimenti, di determinante importanza la stretta opera di revisione – con riferimento ai contratti conclusi ed ancora in essere – o di redazione – per i contratti da concludere – dei termini contrattuali, al fine di scongiurare possibili contestazioni e preservare una proficua relazione commerciale con gli agenti e/o i distributori.
Contributo inserito nella Newsletter n.2/2015.
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