La banca risponde se manca la sottoscrizione dei singoli ordini di investimento

Introduzione

Dal 2003 i Tribunali italiani pronunciano sentenze in materia di responsabilità della Banca nel collocamento degli strumenti finanziari, soprattutto in occasione di default dei Bond Argentina, dei titoli Cirio e Parmalat che hanno coinvolto migliaia di risparmiatori.

I giudici italiani tuttavia nel tempo hanno approfondito la linea seguita dalla prima giurisprudenza di merito, secondo cui la violazione della disciplina legislativa e regolamentare rilevante – in quanto posta a protezione di un interesse pubblico – dà luogo a nullità del contratto per violazione di norme imperative.

Il Tribunale di Treviso dapprima con sentenze 10.10.2005 e 03.02.2006, e la Corte di Appello di Venezia da ultimo con la recente sentenza 19.11.2007, hanno sottolineato, in difesa dell’investitore, la necessaria sottoscrizione non solo del contratto quadro atto a regolare lo svolgimento dei servizi di investimento, bensì anche i singoli contratti mediante i quali l’investitore impartisce ordini specifici, di acquisto o di vendita di titoli.

 

Il quadro normativo e la giurisprudenza

Il Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (d. lgs. 24 febbraio 1998 n. 58 – T.U.F.), agli artt. 23 e 24, stabilisce, in proposito, che i contratti relativi alla prestazione dei servizi di negoziazione, da una parte, ed i contratti relativi alla gestione dei portafogli di investimento, dall’altra, debbano necessariamente essere redatti per iscritto, sotto pena di nullità.

La giurisprudenza aveva ritenuto che il requisito della forma scritta ad substantiam, ai sensi dell’art. 23 T.U.F., andasse riferito al solo contratto quadro che regola la prestazione del servizio di investimento (cd. master agreement) e non ai singoli negozi di acquisto disposti dalla banca, in relazione agli ordini di volta in volta impartiti dall’investitore (tra le altre Trib. Genova 2.8.2005, Trib. Venezia 8.6.2005, Trib. Monza, 27.7.2004).

La lettura è confortata da un’interpretazione letterale degli artt. 30, 1° e 2° comma lett. c), e 60, 2° comma del regolamento Consob del 1° luglio 1998 n. 11522.

Tali norme, stabilendo che “Gli intermediari autorizzati non possono fornire i propri servizi se non sulla base di un apposito contratto scritto” che “Il contratto con l’investitore deve […] indicare le modalità attraverso cui l’investitore può impartire ordini e istruzioni” e che “Gli intermediari autorizzati registrano su nastro magnetico o su altro supporto equivalente gli ordini impartiti telefonicamente dagli investitori” sembrano voler ammettere valide forme di conferimento degli ordini alternative a quella scritta.

Con la conseguenza che, secondo tale orientamento, l’esistenza di un ordine di negoziazione può essere provata anche in base alle eventuali dichiarazioni di portata confessoria del medesimo investitore, che ammetta – in giudizio o stragiudizialmente – di aver dato corso alla compravendita dei titoli (art. 2730 cod. civ.), e che, in difetto della prova di un’investitura a monte, l’acquisto può ritenersi approvato a posteriori, nel caso in cui il cliente non abbia contestato l’addebito entro il termine di sei mesi dalla ricezione del relativo estratto conto (art. 1832 cod. civ.).

 

La nuova giurisprudenza

Il Tribunale di Treviso si era espresso sulla necessaria sottoscrizione di tutti i contratti relativi alle operazioni di compravendita dei titoli, non ritenendo sufficiente la sola sottoscrizione del contratto quadro.

Quest’ultimo infatti sarebbe finalizzato a regolare esclusivamente lo svolgimento dei servizi di investimento, rivelandosi necessaria la sottoscrizione anche dei singoli negozi aventi ad oggetto le operazioni di acquisto o di vendita dei titoli, non potendo questi ultimi essere considerati meri atti di esecuzione del contratto quadro.

La Corte d’Appello di Venezia con sentenza del 19.11.2007, aderendo alle pronunce del Tribunale di Treviso e smentendo quindi un’opinione largamente condivisa in giurisprudenza, ha elevato la scrittura a requisito di validità del contratto di investimento in tutte le sue fasi di formazione progressiva.

L’interpretazione si fonda su una lettura integrata delle disposizioni del citato Testo unico.

L’art. 23 T.U.F. dispone, infatti, che “I contratti relativi alla prestazione dei servizi di investimento […] sono redatti per iscritto” laddove nell’imporre la necessarietà della forma scritta dei contratti di intermediazione finanziaria, la norma farebbe riferimento a tutte quelle attività elencate nella disposizione definitoria di cui al T.U.F.

La tesi muove da un passaggio logico per cui da una parte gli ordini di borsa sono tecnicamente dei contratti (e non atti unilaterali esecutivi di un rapporto misto di conto corrente e mandato, ai sensi dell’art. 1852 cod. civ.) sottoposti all’art. 23 T.U.F. mentre i contratti quadro (normativi) relativi alla prestazione dei servizi di investimento rientrano nei contratti di gestione di portafogli di investimento di cui all’art. 24 T.U.F., con cui il cliente conferisce una tantum alla banca il mandato ad investire una quota del proprio patrimonio.

In pratica nella nuova ricostruzione proposta dalla Corte d’Appello di Venezia, la disciplina dei contratti quadro è contenuta nell’art. 24 T.U.F. e le prescrizioni di forma di cui all’art. 23 T.U.F. riguardano, specificamente, i singoli ordini di acquisto.

 

Contributo inserito nella Newsletter n.7/2008.
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